Trasfertisti, la «fissa» è innovativa

Maria Rosa Gheido | 19 Aprile

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Sembrava che una norma assai tardiva, il decreto legge 193 del 2016, consentisse finalmente di distinguere il trattamento economico dei lavoratori in trasferta da quello dei trasfertisti, ma a quanto pare così non è, almeno per il passato.
Con ordinanza interlocutoria 9731 del 18 aprile la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha rimesso al primo presidente la decisione di affidare alle Sezioni unite il ricorso proposto in materia da un imprenditore contro l’Inps, che rivendicava il pagamento dei contributi sul 50% delle somme corrisposte ai dipendenti a titolo di indennità trasferta e, pertanto, considerate dal datore di lavoro escluse dal reddito di lavoro subordinato.
Secondo la Corte d’appello di Torino, i lavoratori non potevano esser considerati in trasferta, bensì trasfertisti, in quanto addetti a lavori di impiantistica in cantieri itineranti e l’indennità loro corrisposta nei giorni di svolgimento dell'attività nei cantieri era da considerare come indennità corrisposta a lavoratori trasfertisti a norma dell’articolo 51, comma 6, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).
L’imprenditore opponeva a sua volta ricorso in Cassazione, rivendicando che l’indennità era corrisposta solo nei giorni di lavoro nei cantieri e non in quelli di presenza dei dipendenti presso la sede o in cantieri prossimi alla stessa e che il Ccnl delle imprese artigiane metalmeccaniche esclude la natura retributiva.
La Cassazione rileva che nelle more del procedimento giudiziario è entrato in vigore l’articolo 7-quinquies del Dl 193/2016, con l’intento di risolvere il contrasto di giurisprudenza creatosi nel tempo fornendo l’interpretazione autentica e, quindi, retroattiva, del comma 6 dell’articolo 51 del Tuir.
Secondo il legislatore, rientrano nella definizione di trasfertista di cui al comma 6 i lavoratori per i quali sussistono tutte le seguenti condizioni:
la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;
la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
Dispone, inoltre, il legislatore che qualora manchi la contestuale presenza delle tre condizioni, non si applica il comma 6 dell’articolo 51 del Tuir e quindi l’esclusione del 50% delle somme erogate, bensì il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo 51, che escludono tali indennità da tassazione e contribuzione entro i limiti stabiliti dallo stesso comma 5.
Secondo l’ordinanza, però, la disposizione dell’articolo 7-quinquies del Dl 193/2016 non può considerarsi norma di interpretazione autentica in quanto non si limita a chiarire il senso della norma preesistente (articolo 51, comma 6, del Tuir) o a scegliere uno dei possibili sensi ad essa attribuibili, ma sembra piuttosto avere un valore innovativo. Ciò in quanto il comma 6 dell’articolo 51 non consente altra interpretazione se non quella di ritenere irrilevante, ai fini dell’individuazione della nozione di trasfertista, la modalità continuativa o meno dell’erogazione dell'indennità. Al contrario la cosiddetta norma d’interpretazione autentica pone il requisito dell’indennità in misura fissa, senza distinzione fra i giorni in cui il dipendente si è recato o meno in trasferta.

La Cassazione considera, quindi, innovativa la norma contenuta nell’articolo 7-quinquies avendo, nei fatti, l’asserita interpretazione autentica soppresso la locuzione «anche se», riferita dalla norma interpretata alla corresponsione con continuità dell’indennità ai trasfertisti. Se viene meno la natura interpretativa, la norma introdotta dal Dl 193 può solo valere per il futuro.

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