Dalle prestazioni meramente occasionali del 2003 alle prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità del 2017: in mezzo si è assistito all’esplosione dei voucher, poi abrogati dal decreto legge 25/2017. Le nuove disposizioni in materia di lavoro occasionale, inserite nella legge di conversione del Dl 50/2017, ora all’esame del Senato, segnano un ritorno all’origine, ma con differenze affatto irrilevanti, introducendo più regole e maggiore tracciabilità.
L’articolo 54-bis aggiunto al Dl 50/2017 non elimina del tutto il rischio di abusi, ma tenta di limitarli circoscrivendo l’ambito di fruizione del nuovo istituto e aumentando la possibilità di vigilanza da parte dell’Inps, a cui è affidata la gestione della piattaforma operativa.
Le nuove disposizioni, oltre a istituire due diversi strumenti operativi a seconda che l’utilizzatore sia persona fisica non nell’esercizio di attività di impresa o professionali (libretto famiglia) o che sia un utilizzatore imprenditore , professionista o pubblica amministrazione (contratto di prestazione occasionale), forniscono una diversa definizione della nuova tipologia lavorativa a seconda della natura dell’utilizzatore:
per l’uso familiare valgono i limiti quantitativi di 2.500 euro per ciascun prestatore riferiti a un singolo utilizzatore e di 5.000 euro complessivamente nell’anno, limite quest’ultimo che vale anche per gli utilizzatori con riferimento alla totalità dei prestatori d’opera;
per gli utilizzatori imprenditori, professionisti e amministrazioni pubbliche, ai limiti quantitativi di cui sopra si aggiunge la qualificazione della prestazione di cui al comma 13 dell’articolo 54-bis secondo il quale «il contratto di prestazione occasionale è il contratto mediante il quale un utilizzatore…acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionale o saltuarie di ridotta entità...». Si aggiunge il limite di durata della prestazione nel massimo di 280 ore nell’arco dello stesso anno civile.
Con riferimento a quest’ultima categoria di utilizzatori operano altresì diversi divieti, fra cui quello di avere in forza più di cinque dipendenti a tempo indeterminato, di utilizzare il contratto di lavoro occasionale per l’esecuzione di appalti di opere o servizi, di operare nel settore edile o lapideo o nel settore agricolo salvo alcune eccezioni.
Ma la previsione che, è dato ritenere, creerà maggior contenzioso è quella che richiede l’occasionalità o la saltuarietà della prestazione, considerando che in ambito lavoristico non si è mai applicato il criterio dell’occasionalità al rapporto di lavoro subordinato. Questa considerazione ha fatto sì che, dalla definizione di lavoro accessorio meramente occasionale della norma del 2003 si sia passati nel 2012 e poi nel 2015 a un riferimento meramente quantitativo.
Il ritorno alla duplice definizione riapre, ora, il dibattito sul corretto uso da parte degli utilizzatori professionali di questa modalità lavorativa che, secondo il tenore letterale del comma 13 dell’articolo 54-bis, privilegia in prima battuta l’occasionalità o la saltuarietà della prestazione e poi il rispetto dei limiti quantitativi. Peraltro, solo il superamento di questi ultimi è specificatamente sanzionato dal comma 20 dello stesso articolo 54-bis con trasformazione in rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Pare evidente che la mancanza del requisito qualitativo della prestazione rappresenti, di per sé, fin dall’origine l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato e non un contratto di lavoro occasionale.
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