Lavoro distaccato, le nuove regole Ue

Beda Romano | 25 Ottobre

I Ventotto hanno trovato nella notte di lunedì a Lussemburgo un accordo su una sofferta revisione della direttiva del 1996 che regolamenta il distacco dei lavoratori in un paese membro. Il risultato delle trattative, che dovrà ora essere approvato dal Parlamento europeo per poter entrare in vigore, è stato un compromesso che ha evitato una eclatante spaccatura tra l’Est e l’Ovest dell’Europa. L’industria europea ha criticato l’intesa perché limiterebbe la mobilità delle persone.
Il distacco permette a una società di inviare in un altro Stato dell’Unione un proprio lavoratore, versando i contributi nel paese d’origine. Questo principio è stato criticato negli ultimi anni, dopo l’allargamento della Ue ai paesi dell’Est. Poiché questi ultimi hanno costi previdenziali e salariali assai più bassi dei paesi dell’Ovest, la Francia, ma anche l’Italia, li hanno accusati di dumping sociale, inviando propri lavoratori all’Ovest, in particolare nei settori dell'edilizia e dei trasporti).
La direttiva del 1996 è stata corretta dai Ventotto per quanto riguarda la durata del distacco. Sarà di 12 mesi, come richiesto dalla Francia, anziché 24 mesi come proposto dalla Commissione europea; ma allungabile di altri sei mesi su richiesta dell’impresa e con il benestare del paese di accoglienza. Nei trasporti, la vecchia direttiva continuerà a essere applicata finché non entrerà in vigore un nuovo pacchetto di misure dedicate al settore.
Il compromesso, che prevede un periodo di transizione di quattro anni, è giunto dopo una lunga riunione dei ministri del Lavoro in Lussemburgo. Il voto ha mostrato una spaccatura, anche se meno grave delle attese. A votare contro il compromesso sono state la Polonia, la Lituania, la Lettonia e l’Ungheria. Invece, la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Croazia si sono astenute. Gli altri 21 paesi hanno votato a favore. Il testo dovrà ora passare dal Parlamento europeo.
Diplomatici in Lussemburgo hanno fatto notare che il fronte dell’Est si è diviso. Estonia, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno votato a favore del compromesso. La direttiva del 1996 aveva già subito un primo giro di vite con un testo legislativo che tra le altre cose aveva vietato le società fittizie, utilizzate da molte imprese per aggirare le regole (si veda Il Sole24 Ore del 10 dicembre 2013). Poi nel 2016 Bruxelles ha proposto nuove modifiche in risposta alle pressione dei paesi dell’Ovest.
L’obiettivo della nuova riforma è di avere «stipendio uguale a lavoro uguale sullo stesso luogo di lavoro», secondo quanto affermato dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Il vecchio testo prevedeva che la società del lavoratore distaccato dovesse rispettare solo il salario minimo nel paese di accoglienza. La riforma stabilisce che la società dovrà versare al proprio lavoratore tutti i bonus e le indennità - dalla tredicesima al premio d’anzianità - previsti dal paese del distacco.
Secondo stime ufficiali, nel 2015 vi erano in Europa 2,05 milioni di lavoratori distaccati, una cifra bassa ma in forte aumento (+41% dal 2010). La questione ha provocato tensioni tra Est e Ovest, ed è stata al centro della recente campagna presidenziale francese, quando l’elettorato si è spaccato tra euroscettici ed europeisti. Da Parigi, il presidente francese Emmanuel Macron ha commentato: «Saluto l’ambizioso accordo sui lavoratori distaccati: più protezione, meno frodi».
Critica invece è stata Business Europe. L’associazione imprenditoriale ha definito l’intesa «un cattivo compromesso segnato dal simbolismo politico».
Ha spiegato il direttore generale Markus Beyrer: «Anziché difendere il libero movimento imponendo il rispetto delle regole esistenti per combattere gli abusi, il Consiglio ha dato credito al mito che le regole esistenti dovessero essere modificate per lottare contro il dumping sociale». A preoccupare Business Europe è il periodo troppo corto del distacco.

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