I riders sono autonomi perché non obbligati a lavorare

Aldo Bottini - Il sole 24 ore | 8 Maggio

I riders non sono lavoratori subordinati perché non sono obbligati a effettuare le consegne. Le motivazioni, depositate ieri, della sentenza del tribunale di Torino sul caso Foodora (la prima in Italia) erano tanto attese quanto, in larga parte, prevedibili.
Lo stesso tribunale ricorda nella sentenza che la questione si era posta negli anni '80 per i pony express, fattorini che, dotati di un proprio motorino e collegati via radio con la centrale operativa di un'agenzia, consegnavano in città lettere o plichi. Una prima sentenza del tribunale di Milano li aveva qualificati come subordinati, facendo leva soprattutto sulla loro «soggezione economica» all'impresa. In appello e in Cassazione era invece prevalso l'orientamento opposto, poi consolidatosi, che li qualificava come lavoratori autonomi. E ciò sulla base essenzialmente del fatto che questi lavoratori non avevano l'obbligo di rispondere alla chiamata via radio dell'agenzia, e quindi in sostanza potevano decidere se lavorare o meno.
Proprio la “non obbligatorietà” della prestazione, come sintetizza la sentenza torinese richiamando il precedente di trent'anni fa, consente di escludere in radice la subordinazione. Se non c'è obbligo di lavorare, in altre parole, non c'è assoggettamento al potere direttivo (elemento qualificante della subordinazione) e neppure continuità del rapporto.
La vicenda attuale dei riders si pone in termini non dissimili da quella dei pony express di allora. Il rapporto di lavoro tra le parti, rileva il tribunale di Torino, è caratterizzato dal fatto che «i ricorrenti non avevano l'obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l'obbligo di riceverla». Infatti il rider poteva dare la propria disponibilità a lavorare in una determinata fascia oraria (ma non era obbligato a farlo) e a quel punto poteva ricevere la notifica dell'ordine con l'indirizzo del ristorante per il prelievo e la successiva consegna al destinatario. L'azienda era comunque libera di non recepire la disponibilità e di non chiamare il fattorino.
Queste caratteristiche del rapporto sono determinanti per escludere la sottoposizione al potere direttivo e organizzativo del datore, «perché è evidente che se il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione non può neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo».
Peraltro il rider può anche revocare la disponibilità già data o semplicemente non presentarsi senza conseguenze, il che esclude anche la sottoposizione al potere disciplinare (altro elemento qualificante della subordinazione).
Il tribunale si fa comunque carico dell'obiezione secondo cui l'azienda, pur priva del potere di pretendere la prestazione, possa in concreto esercitare il potere direttivo nel momento in cui il fattorino si inserisca di fatto in un certo turno di lavoro e riceva indicazioni (via app o telefono) su come svolgere l'incarico (determinazione del luogo di partenza, verifica della presenza e dell'accettazione dell'ordine, rispetto dei tempi di consegna e solleciti in caso di ritardo).
Tutte queste situazioni di fatto, rileva la sentenza torinese, sono forme di coordinamento (peraltro espressamente condivise) dettate dalla necessità di rispetto dei tempi di consegna, compatibili con la natura autonoma del rapporto. Né le recenti disposizioni del Dlgs 81/2015, che riconducono alla disciplina del lavoro subordinato le collaborazioni etero-organizzate, possono condurre a diverse conclusioni, non foss'altro per la libertà del rider di dare o meno la propria disponibilità sui tempi di lavoro.
Esclusa la subordinazione, sono state respinte dal Tribunale tutte le domande che su tale accertamento si basavano. E' stata altresì respinta la domanda di risarcimento del danno per violazione delle norme sulla privacy, avendo il Tribunale accertato l'adeguatezza dell'informativa ricevuta (e del consenso espresso) dai riders sul trattamento dei loro dati personali.

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