Il dipendente era stato fermato dalla polizia, durante l’orario di lavoro, con 2,23 grammi di alcool per litro di sangue, gli era stata ritirata la patente, l’auto era stata sequestrata e non aveva informato l’azienda. Insomma, un disastro. Il mezzo era stato ovviamente confiscato e trasportato in un autosoccorso e quindi temporaneamente sottratto alla disponibilità aziendale. Rete Ferroviaria Italiana spa, azienda per cui lavorava il dipendente, quando aveva ricostruito il tutto, oltre un anno dopo, l’aveva licenziato per giusta causa. Ma il dipendente aveva impugnato il licenziamento ottenendo ragione sia davanti al tribunale del lavoro di Vicenza che in Corte d’Appello. Rfi non si è data per vinta e ha poi proposto il ricorso in Cassazione e questa volta, al terzo grado di giudizio ha trovato parziale riscontro nella sentenza della sezione lavoro.
La Suprema Corte infatti ritiene che i giudici veneti abbiano considerato i singoli eventi (guida in stato di ebrezza durante l’orario di lavoro, non aver avvisato l’azienda del fatto ed aver negato la documentazione all’azienda richiedente) senza guardare il fatto nell’insieme, che quindi sarebbe più grave dei singoli fatti giudicati singolarmente. Il comportamento del dipendente, valutato nella sua complessità, ai supremi giudici è apparso più grave di quanto non fosse stato considerato dai giudici di merito, e hanno quindi ordinato un nuovo giudizio di appello con le seguenti parole:
Il dipendente, che era stato reintegrato, adesso rischia una condanna più severa.