Era diventato Imam e quindi guida spirituale per i propri connazionali. Conseguentemente ha comunicato al suo stupito datore di lavoro che non avrebbe più svolto determinate mansioni, come quella di alzare scatoloni con all’interno bottiglie alcooliche, perché la sua religione non glielo permetteva. Per l’azienda questa presa di posizione non aveva nulla a che fare con la religione perché il dipendente, assunto ormai da anni, non aveva mai presentato queste istanze. Per la direzione è stato solo un tentativo del lavoratore di cambiare mansione. Dopo il licenziamento l’Imam ha deciso di impugnarlo, ma il giudice di primo grado ha dato torto all’ex dipendente e ragione all’azienda. La mansione prevedeva lo spostamento abituale di quei contenitori e l’azienda non aveva alcun obbligo di adattare il lavoro alle mutate aspettative, pur se addotte da motivi religiosi, del lavoratore. Inoltre l’azienda si è difesa anche facendo notare che nessun altro dipendente di fede musulmana si fosse mai rifiutato di muovere le casse che contengono bevande alcooliche. L’ex lavoratore non è riuscito nemmeno a dimostrare, ed era l’ultima linea di difesa, “quantomeno attraverso presunzioni rilevanti, la natura discriminatoria del licenziamento”. Rifiuto di adempiere alla mansione iniziale e nessuna discriminazione religiosa. Quindi, licenziamento legittimo.