Almaviva bocciata perché ha licenziato solo a Roma

Matteo Prioschi - Il sole 24 ore | 17 November

Sono stati dichiarati illegittimi 153 dei 1.666 licenziamenti effettuati da Almaviva contact a fine 2016 sulla sede di Roma. Con cinque ordinanze, Umberto Buonassisi, giudice della sezione lavoro del tribunale capitolino, ha annullato i provvedimenti e condannato la società a reintegrare i dipendenti.
La decisione rientra nell’ampio contenzioso che si è creato tra lavoratori e azienda dopo la decisione della stessa di espellere i dipendenti a seguito della mancata firma, da parte delle Rsu, dell’accordo che avrebbe consentito di proseguire fino al 31 marzo di quest’anno le trattative allora in corso per trovare una soluzione alle difficoltà.
Nelle cinque ordinanze si contesta la decisione di Almaviva di limitare la scelta di individuare il personale da licenziare solo sulla sede di Roma, escludendo le altre. Rileva il giudice che la comunicazione di licenziamento collettivo e la comparazione dei lavoratori coinvolti dalla decisione deve fare riferimento all’intera organizzazione aziendale e che la restrizione a una sola sede deve essere giustificata da esigenze tecnico-produttive e organizzative la cui indicazione e prova è a carico del datore di lavoro.
A questo proposito non si può addurre come valida motivazione un accordo che contenga criteri di scelta contrari a norme o principi costituzionali. Nel caso specifico quello del 22 dicembre 2016, in base al quale la società avrebbe gestito gli esuberi «per la medesima unità produttiva» con i criteri di scelta legali. Inoltre non superano l’esame le motivazioni addotte dall’azienda sui costi e le difficoltà organizzative di spostare il personale da una commessa all’altra.
I dipendenti, osserva il giudice, possono sostanzialmente svolgere le attività indipendentemente dalla sede in cui si trovano e possono passare da una commessa all’altra senza troppi costi o problemi organizzativi. In sostanza non è emersa in giudizio l’esistenza di professionalità assolutamente specifiche e non comparabili né fungibili con quelle impiegate nelle altre sedi. Dunque i lavoratori da licenziare dovevano essere individuati su tutte le sedi in quanto «l’unica cosa che distingueva la sede romana era il costo del lavoro dei dipendenti» perché, a differenza di quelli di Napoli, non hanno sottoscritto l’accordo in base al quale sarebbe scattata una riduzione della retribuzione.
Quindi, si legge nell’ordinanza, «chi non accetta di vedersi abbattere la retribuzione (a parità di orario e di mansioni) e lo stesso Tfr in spregio dell’articolo 2013 del codice civile e dell’articolo 36 e di numerosi altri precetti costituzionali ancora vigenti, viene licenziato e chi accetta viene invece salvato. Un messaggio davvero inquietante anche per il futuro».
La decisione del giudice, hanno commentato la Cgil e la Slc-Cgil nazionali e di Roma e Lazio, «rende giustizia a quei lavoratori e, forse, potrebbe aiutare a superare una stagione improvvida nella quale le prove di forza ed i ricatti hanno sostituito le corrette relazioni sindacali».
Almaviva Contact in una nota invece ha dichiarato che «mantenendo ferma la convinzione del proprio corretto operato, darà ovviamente attuazione all’ordinanza - riammettendo i lavoratori presso le sedi disponibili, tenendo conto che il sito operativo di Roma è chiuso - ma la impugnerà immediatamente, al fine di revocarne gli effetti in tempi brevi». La società ricorda che altri 9 giudici con 22 ordinanze hanno dichiarato pienamente legittima la condotta aziendale.
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