I lavoratori, da dipendenti a imprenditori. Si riprendono l’azienda e la fanno ripartire.

27 Febbraio

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Workers buy out significa impresa rigenerata, e più specificatamente identifica un’operazione di acquisto di una società realizzata dai dipendenti dell’impresa stessa. I lavoratori, per crearsi un’alternativa occupazionale e per salvaguardare il know how acquisito, si costituiscono in cooperativa e decidono di acquisire l’azienda dal liquidatore o dal curatore fallimentare o dal datore di lavoro stesso. Per farlo utilizzano i propri risparmi e l’indennità di mobilità (quando l’INPS riconosce la possibilità di erogare l’anticipo dell’indennità per destinarla alla capitalizzazione da parte dei soci). Nel 1981 Giovanni Marcora, Ministro dell’Industria, decise di presentare un progetto di legge che regolava e facilitava questo tipo di imprese, la legge venne poi approvata nel 1985 (Legge 49/85).

Negli ultimi 30 anni i workers buyout hanno permesso il salvataggio di 15mila posti di lavoro. Restano soluzioni ancora poco conosciute, soluzioni che per quanto istituzionalizzate dalla legge Marcora e per quanto siano a costo zero per la collettività, faticano a diventare uno strumento condiviso di politica economica e sindacale. Sono molte le storie di successo emerse in questi anni. Non si parla solo di Pmi familiari storiche, come ad esempio la Desi Srl, specializzata in cucine componibili, rinata come coop nel 2016; si tratta anche di multinazionali come la Italcables salvata da 50 dipendenti.

Quando un’azienda di capitali entra in procedura concorsuale (fallimento, concordato preventivo), i dipendenti possono quindi riunirsi in cooperativa e rilevare l’attività, utilizzando ammortizzatori sociali e fondi mutualistici. Si tratta di un fenomeno relativamente nuovo, importato dagli Stati Uniti, che ha preso piede in Italia negli ultimi anni soprattutto in risposta all’emergenza occupazionale.

Da dipendenti a imprenditori, aziende in crisi che vengono rilevate da cooperative grazie agli investimenti dei dipendenti, questi infatti devolvono i propri risparmi e l’anticipo dell’indennità di mobilità nel salvataggio dell’azienda.

I dati parlano chiaro, le realtà acquistate dai lavoratori-soci hanno basse percentuali di fallimento, inferiori al 15% a dieci anni, contro il 70% per le start up vere e proprie. Inoltre, è da considerare il risparmio che queste operazioni concedono allo Stato: un lavoratore licenziato costa dai 30 ai 40mila euro di ammortizzatori sociali, soldi a fondo perduto. Attraverso la Wbo i contributi si trasformano in capitale e la società rigenerata continua a versare contributi previdenziali. La dimensione media di un’impresa rigenerata è di una ventina di addetti, un capitale sociale di 300 mila euro e 3milioni di fatturato.

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